SIGNORA CHE FACCIO, LASCIO?
Ed eccomi qui.
Sono le 21, l’aria punge come nella più tipica delle sere autunnali – d’altronde siamo ad ottobre – e io sono sul piazzale di casa.
In infradito.
Avvolta solo da uno striminzito asciugamani arancione.
Al buio.
Di fronte al contatore del gas.
E sto litigando al telefono con Pasquale dell’assistenza emergenze gas, che conosco da venti minuti ma mi sta già talmente sui coglioni che mi par d’esserci sposata da anni.
“Signora…”
“Signorina, prego”
“Signorina, mi ascolti senza interrompere e faccia quello che le dico. C’è un sigillo sul contatore?”
“C’è un filo di metallo attorno al tubo; possiamo considerarlo un sigillo?”
Sento Pasquale che soffia dall’altro capo del telefono, un misto fra le fusa di un grosso grasso gatto raffreddato e un attempato maniaco sessuale impegnato in scherzi telefonici.
“Signora…”
“Signorina, prego”
“Senta, le mando l’assistenza. C’è qualcuno in casa se arrivano fra un’ora?”
“Pasquale, sono le 9 passate, sono mezza nuda nel piazzale di casa, sto parlando con lei che mi tratta come una deficiente da mezz’ora, tra poco il mio ragazzo – che non vedo da quattro giorni – sarà qui per la cena che non ho potuto preparare a causa vostra, e io – dopo una giornata di lavoro e due ore massacranti in palestra – puzzo come un cammello femmina col ciclo e non posso farmi una doccia sempre per causa vostra. Secondo lei dove cazzo vado ridotta così????”
Non so se sia stato per l’immagine della cammella col ciclo, fatto sta che Paquale cambia tono.
“Le mando l’assistenza, signorina e si risolverà tutto. Stia tranquilla. Buona serata”.
E riattacca.
Io mi siedo sugli scalini, e ho un tale nervoso che mi viene da piangere.
Mio moroso arriva e mi trova lì, appollaiata sul bordo del terrazzo, gli occhi umidi che fissano i piedi, le spalle ricurve, il naso che cola.
Mi chiede spaventato cosa c’è, gli racconto tra i singhiozzi del contatore cambiato senza preavviso e senza che fossi in casa e del gas che non funziona motivo per cui non ho fatto la doccia e manco preparato la cena, gli racconto dell’operatore del call center maleducato e scontroso e di come tutto questo mi abbia fatto salire una rabbia incredibile.
Lui mi fissa, poi mi abbraccia e scoppia a ridere.
“Ma amore! Non puoi prendertela così! Devi imparare a lasciare andare!”
Poi esce e va a prendere due pizze.
E mentre aspetto che torni, capisco che ha ragione.
Ci sono e saranno sempre situazioni fastidiose il cui controllo ci sfugge di mano perché non dipendono direttamente da noi e non possiamo farci nulla; ci sono e saranno sempre episodi in cui ci troveremo a dover sopportare ingiustizie e assurdità e arroganza e insolenza, e la via d’uscita per non prendersela sarà una, e una soltanto: fingersi come il più furbetto dei salumieri cui hai chiesto un etto di prosciutto, che alla fine te ne taglia due etti e mezzo, ti guarda sornione e dice: signora che faccio, lascio?
Ecco. Con la vita funziona uguale.
Ci sono e saranno sempre situazioni in cui l’unica filosofia da scegliere per allontanare lo stress la rabbia e la colite nervosa sarà ripetere nella nostra testa il mantra del salumiere: signora che faccio, lascio?
Io c’ho provato, e devo ammettere che funziona (ed è molto più efficace dell’immagine della cammella!)