Regola#340esefossinatoincoordinategeografichediverse?

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E SE FOSSI NATO IN COORDINATE GEOGRAFICHE DIVERSE?

Mi chiamo Wendy, anche se quando scrivo le mie regole divento Eustachia BonTon.
Sono nata il 9 agosto 1976 – pochi giorni dopo la vittoria italiana della Coppa Davis – in un ospedale dove oggi non si nasce manco più perché il reparto è stato chiuso.
Vivo in una piccola casettina gialla che finirò di pagare fra 23 anni.
Le coordinate di tutta la mia vita sono sempre state queste:
45.406435 di latitudine 11.876761 di longitudine.
Sono italiana.

Sono un’insegnante di storia e filosofia, ma l’ho fatto per poco tempo perché non potevo permettermi una vita da precaria, sicché adesso faccio un lavoro di tipo amministrativo, stressante ma ben retribuito, che a volte magari non mi piace ma che puntualmente a fine mese mi fa pagare il mutuo.
Eppure adoravo così tanto insegnare filosofia, ho sempre pensato che avrei potuto cambiare il mondo anche soltanto cambiando la vita di un mio studente attraverso la filosofia.

Ho una macchina (che tengo male), due smartphone (anche se uno aziendale), un armadio che a volte mi dimentico cosa ci sia dentro da quanti vestiti ho (e quasi tutti neri).
Vado in palestra tre volte a settimana (in realtà sono corsi di fitness, e in realtà ho cominciato due giorni fa).
Ho due televisioni che non accendo quasi mai, un computer portatile, diverse radio.

Ho incontrato l’amore della mia vita da quasi un anno, e me lo sto vivendo a braccia spalancate e con gli occhi pieni di lui.
Non ho bambini, ma una nipotina che adoro e che mi riempie con la sua allegria e un entusiasmo così spensierato da risultare contagioso.
(Quando vedo un abito da sposa, tuttavia, non posso evitare di immaginarmelo addosso e fare gli occhi lucidi, è più forte di me!)

In frigo non manca niente, anzi, sono talmente sbadata che qualche volta tocca buttare pure qualcosa perché è andato a male; se solo mi mettessi d’impegno e imparassi a fare qualche dolce, magari eviterei questi sprechi inutili.

I miei genitori stanno bene, grazie.
Vivono a 3 chilometri da casa mia, ma non li vedo quasi mai.

Quando mi guardo allo specchio prima di andare a letto, mi sorrido perché dicono porti bene.
A vedermi da fuori, sembro una donna bella, pulita e buona; dentro di me, ho mille pensieri che si agitano come mulinelli di polvere nel deserto, e li tengo a bada solo quando realizzo che  – grazie a Dio – sono viva, sto bene, e non devo perdere la speranza.
Ma l’ultimo, ultimo, ultimo pensiero che faccio prima di chiudere gli occhi, in realtà è un altro: e se fossi nata in coordinate geografiche diverse?

Mi chiamo Amal, che in arabo vuol dire speranza, aspettativa, ispirazione, e si scrive così أمل
Sono nata il 9 Agosto 1976 – anno in cui il mio Paese intervenne nella guerra civile libanese contro Israele –  in un ospedale che oggi non c’è più perché è stato distrutto dai bombardamenti iniziati nel 2011.
Vivo in un prefabriccato bianco e grigio nel campo profughi di Zaatari, a nord della Giordania, anche se una volta – che poi era soltanto un anno fa, ma mi sembrano passati secoli – avevo in una casetta tutta mia.
Le coordinate di tutta la mia vita sono sempre state e sempre saranno queste, anche se potrei non tornare mai più nel mio Paese:
34.802075 di latitudine 38.996815 di longitudine.
Sono siriana.

Sono un’insegnante di storia e filosofia, e fino a tre anni fa insegnavo nel liceo della mia città, Aleppo.
Ora il mio liceo non c’è più; anche Aleppo sta scomparendo.
Qui a Zaatari non ci sono licei veri e propri, ma  sono state costruite diverse scuole per garantire uno pseudo percorso scolastico ai nostri figli della guerra. Io non insegno filosofia, ma mi occupo dei ragazzini piccoli che hanno difficoltà a concentrarsi perché la notte non dormono.
Ancora troppo forte il rimbombo degli scoppi nei loro orecchi; ancora troppo vivo il rosso del sangue che hanno visto, senza sapere se fosse il loro o quello della loro madre, del padre, della sorella.
Eppure adoravo così tanto insegnare filosofia; quanta gente potrebbe cambiare in meglio se solo studiasse filosofia!

Non ho (più) una macchina, ho uno smartphone (che uso pochissimo), e in una parte del prefabbricato tengo i pochi vestiti che mi hanno consegnato i volontari del Norwegian Refugee Council; sono loro a distribuire i beni di prima necessità non alimentari, ma per entrare mi devono fotografare l’occhio per il riconoscimento oculare, e questa cosa da Mission Impossible mi infastidisce troppo.
Preferisco arrangiarmi con i vestiti che ho già, e andare a ritirare soltanto il sussidio mensile.
Di quello abbiamo bisogno.

Mi piaceva giocare a tennis, fino ad un anno fa; oggi mi vergogno quasi mentre penso al tempo che trascorrevo con la racchetta in mano.
Non abbiamo radio, né televisori.
L’elettricità arriva solo di sera, ma io la luce non l’accendo quasi mai perché ho iniziato ad amare quella delle candele: illumina solo i nostri volti e lascia nell’ombra il dolore che ci circonda.

Ho incontrato l’amore della mia vita quindici anni fa, poco prima della laurea, e me lo sto vivendo a braccia spalancate e con gli occhi pieni di lui, oggi come allora.
Ho tre figli, anche se di baci della buonanotte posso darne soltanto uno.
Aamir ha quasi 18 anni, e sta combattendo per difendere il nostro Paese.
Aalia di anni ne ha quattro, e spero ritrovi un giorno l’allegria e l’entusiasmo che ha lasciato in Siria, sotto le macerie della nostra casa, assieme alla vita di sua sorella Asiya, che di anni ne ha sei.
E ne avrà per sempre sei.

(Qualche volta, per non pensare a lei e sentirmi soffocare dal dolore, vado a passeggiare lungo gli Sham Elysees, e mi fermo davanti al negozio di abiti da sposa. Gli occhi mi si fanno lucidi al solo pensiero che esista un negozio come questo, in questo campo profughi abitato da 80 mila siriani come me e diventato una città. E allora piango perchè la vita continua nonostante tutto, e fingo che quelle lacrime non siano per la mia bambina rimasta sepolta là sotto).

Un frigo non ce l’abbiamo, tanto il cibo che ci garantisce l’Onu lo si mangia subito, non c’è granché da conservare.
Una delle cose che mi manca di più della mia vita di prima, è proprio la sensazione di aprire il frigo e scegliere le uova per preparare un dolce ai ragazzi; mi aiutava Asiya, di solito.
Quanto mi manca il suo musetto sporco di farina.
Quanto mi manca.

I miei genitori sono rimasti ad Aleppo. Papà non ne vuole sapere di andare via da lì, e se ne sta tutto il giorno in casa aspettando che la guerra finisca e che noi si ritorni da loro.
Crede ancora che un giorno sarà tutto finito, e che tornerà ad alzare la serranda della sua farmacia.
Quanto mi manca il rumore della serranda che si apriva, e io ancora a dormire nel lettone dei miei nell’appartamento di sopra.
Quanto mi manca sentirmi al sicuro.

Quando mi guardo allo specchio prima di andare a letto, mi sorrido perché è un’abitudine che ho da ragazzina, e non voglio smettere di farlo nemmeno qui, prigioniera in uno stato di non esistenza civile.
A vedermi da fuori, sembro una donna bella, pulita e buona; dentro di me, ho mille pensieri che si agitano come i mulinelli di polvere che passano lungo queste strade, e li tengo a bada solo quando realizzo che  – Inshallah – sono viva, sto bene, e non devo perdere la speranza.

Ma l’ultimo, ultimo, ultimo pensiero che faccio prima di chiudere gli occhi, in realtà è un altro: e se fossi nata in coordinate geografiche diverse?

 

4 thoughts on “Regola#340esefossinatoincoordinategeografichediverse?

    1. Nessuna, difatti la parola “colpa” non è presente in questa regola, e nemmeno il sentimento che implica.
      Il mio obiettivo, semmai, era di sensibilizzare e portare ad un livello di consapevolezza più profondo, che ci permetta di cogliere – nel nostro bel paese (le minuscole non sono un caso) urbanizzato e moderno – la fortuna che ci è capitata.
      Fortuna che ho io, che vivo a Gazzo, e che hai tu, che vivi a Veggiano.
      Buona giornata,
      EBT

      PS: Monte Carlo che c’entra scusa?

      1. Si,siamo fortunati, ma ne abbiamo passate anche noi, noi come famiglie italiane, non dirmi che i tuoi nonni non hanno patito sofferenze durante la guerra? Mio nonno è scampato dalla morte e mia madre è nata nel 47,se non avesse scelto saltare da un treno che lo portava in un campo di concentramento probabilmente non sarebbe tornato perché questa è stata la sorte del suo compagno accanto, suo fratello invece è tornato dalla guerra per morire poco dopo è lasciare due bambine piccole, ora, se crediamo che in questo mondo ci arriviamo con la cicogna allora si tratta davvero di fortuna, oppure io credo che quello che abbiamo non sia solo fortuna ma anche frutto di sacrifici di qualcuno che ha i ns geni e che ci ha generato, che ha fatto tutto per i propri figli.

        1. Concordo, e anche dalla mia famiglia ho raccolto racconti di guerra e disperazione, mescolati alla determinazione di chi sceglie di resistere per i propri figli e nipoti.
          Proprio per questo, noi italiani che la guerra l’abbiamo vissuta, così come altre problematiche come l’emigrazione, dovremmo guardare a quello che OGGI, e non nel secolo scorso, sta accadendo in questo nostro stesso mondo.

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