VIETATO FARSI CONDIZIONARE
Il silenzio irreale di quella notte, quando l’unico ronzio di sottofondo era dato dalla televisione accesa col volume al minimo, fu interrotto verso le 3.50 da un suono.
O meglio, da un rumore.
Una sorta di rantolo, una via di mezzo tra il respiro pesante di una belva nascosta che osserva la sua preda e un essere umano cui polmoni non funzionano ormai più.
Lei se ne stava stesa sul divano, quando quel verso disumano irruppe nella sua vita.
Le luci della stanza erano tutte accese: il lampadario al centro, le due abat jour ai lati del salotto; anche i piccoli faretti sul soffitto del disimpegno che portava in cucina.
Tutto accesso per allontanare la paura e il terrore che dalla sera prima albergavano nel suo animo troppo sensibile.
Non avrebbe dovuto accettare.
Non sarebbe dovuta andare con loro.
E adesso era troppo tardi.
Quel rantolo le fece capire che adesso era davvero troppo tardi.
Rimase immobile cercando di capire da dove provenisse.
La cadenza era regolare, costante.
E veniva esattamente dalle scale che portavano al piano di sopra, dietro alla parete del salotto.
Qualcuno in quella stessa stanza stava respirando, e forse la stava osservando.
Ma in quella stessa stanza lei avrebbe dovuto essere sola.
Il respiro le si fermò, così come la salivazione.
Il cuore invece iniziò a batterle fin troppo velocemente.
Le sarebbe bastato un solo gesto per mettersi in salvo, perché la porta d’uscita era proprio dietro di lei; un gesto, uno soltanto, e sarebbe stata al sicuro lontana da quella casa, da quel verso, da quell’entità.
Ma doveva proteggere i gemelli che stavano dormendo al piano di sopra.
Doveva salvarli, prima di pensare a salvarsi.
Con un coraggio che fino a quel momento non sapeva di possedere, si alzò lentamente, prese il cellulare, digitò il numero di casa dei suoi, che abitavano poco lontano; se non sarebbero potuti arrivare in tempo, sarebbe almeno riuscita a parlare con loro per l’ultima volta.
Con il pollice sospeso sul tasto di avvio chiamata, si diresse verso quel rumore terrificante.
Lentamente.
Avvolta dal terrore di trovarsi quell’essere spaventoso davanti.
Furono i secondi più lunghi di tutta la sua vita.
Più si avvicinava alla parete, più il rantolo diventava forte; e reale.
L’ultimo suo movimento coincise – disperatamente – con quella scoperta.
Eccola lì, la sagoma tanto spaventosa.
Accovacciata sulle scale, con la testa appoggiata alla parete, gli occhi azzurro cielo spalancati, i capelli biondi che le ricadevano sulla fronte, le dita della mano destra in bocca, come faceva sempre.
La piccola colombina di casa.
Alessia, la gemella.
E io che pensavo fosse la strega di Blair.
Febbraio 1999.
E’ sabato sera, e come spesso accade sto lavorando come baby-sitter da una coppia che abita qualche casa più in là dei miei genitori, e che giusto un anno prima ha avuto due splendidi gemelli, Riccardo e Alessia, che io accudisco da quando sono nati; mi piace passare i sabati sera/notte con loro: odore di neonato, coccole, tanto tempo per leggere.
Se non fosse che quella volta avevo fatto l’enorme cazzata di andare la sera prima al cinema per la proiezione del film “The Blair Witch Project, il Mistero della Strega di Blair”.
Genere: horror.
E io sono da sempre estremamente influenzabile dai film horror.
Ricordo ancora il terrore che ho provato per tutta la durata della proiezione (aumentato dal fatto che – coincidenza o marketing – a metà film era saltata la corrente nella sala lasciando tutti gli spettatori al buio e in preda al panico più totale).
Ricordo ancora il terrore che ho provato rientrando a casa quella sera, e anche andando dai gemelli il giorno dopo percorrendo al buio i pochi metri che dividevano casa mia dalla loro.
E ricordo come fosse ora il terrore che ho provato sentendo quel rantolo: ero seriamente e concretamente convinta ci fosse una strega a casa dei gemelli.
Davvero.
Ero stata talmente suggestionata dal film – un film, appunto – che quella notte pensavo mi sarei trovata la strega davanti.
Ed invece era solo la piccolina che aveva imparato a sgusciare fuori dal lettino e scendere giù, e mi aspettava col ciuccio in mano e tanta voglia di un abbraccio.
Due sono le lezioni che ho imparato da quella sera.
La prima: assolutamente vietato farsi condizionare.
Da tutto e in tutto.
Dai film, che – romantici o spaventosi – sono “soltanto” storie nate dalla testa dal genio dalla sensibilità dalla grandezza di sceneggiatori e registi e via discorrendo.
Ma sono film; la vita reale è ben altra, perché è roba TUA.
Vietato farsi condizionare da quello che pensano gli altri, da quello che dicono, dalle malelingue che si riempiono la bocca con la vita degli altri perché la loro – evidentemente – è troppo noiosa.
Sono solo pensieri e parole degli altri; i tuoi pensieri e le tue azioni sono ben altra cosa, perchè sono roba TUA.
Vietato farsi condizionare dai cliché, dai luoghi comuni, dagli schemi: sono solo stampini di cose già vissute già dette già provate.
Quello che scegli, quello che provi, chi decidi di amare e chi decidi di mettere da parte sono impronte che crei tu giorno per giorno, perché sono roba TUA.
Non farti condizionare da nulla che non ti appartenga.
Mai.
Questo ho imparato quella sera, assieme alle seconda, fondamentale lezione che non mi ha abbandonata mai più: evitali i film horror, Wendyna.
Evitali!