SCRIVI UNA LETTERA D’AMORE. ALMENO UNA
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che hai scritto una lettera d’amore? Come? Stai sorridendo? Beh, ti capisco.
Le lettere d’amore fanno solo ridere, giusto? E non sarebbero lettere d’amore se non facessero ridere, giusto?
Ảlvaro de Campos nacque a Tavira, in Portogallo, il 15 ottobre del 1890, alle 13.30. E lui non la pensava così.
Ricardo Reis fu un medico latinista e monarchico, trasferitosi in Brasile come protesta per la proclamazione della Repubblica in Portogallo. Nemmeno lui la pensava così.
Alberto Caeiro passò tutta la vita a Lisbona, facendo il contadino ma coltivando soprattutto la sua grande passione per la poesie. Anche per quelle d’amore.
Bernardo Soares fu un modesto colletto bianco che tuttavia scrisse “Il Libro dell’Inquietudine”, considerato uno dei capolavori della letteratura portoghese del XX secolo. A lui le lettere d’amore non facevano ridere.
Eppure, nessuno di loro è mai esistito davvero; sono tutte invenzioni, identità alternative create da Fernando Pessoa, poeta e scrittore portoghese letto e amato in tutto il mondo. Ecco, Pessoa amava scrivere d’amore, ma forse per pudore, forse per timidezza, fors’anche per vergogna, preferiva affidare parole e sentimenti ai suoi personaggi inventati – gli eteronimi.
Eppure, come canta anche il prof. Vecchioni nella sua incantevole “Le Lettere d’Amore”, alla fine Pessoa deve aver capito che – almeno una volta, una volta sola nella vita – una lettera d’amore la si deve pur scrivere.
Fallo anche tu. Scrivi una lettera d’amore.
Perché noi si potrebbe anche essere le persone più meschine di questa terra, o si potrebbe essere di quelle che vivono con gli occhi velati di fucsia, ma l’amore per qualcosa prima o poi lo proviamo.
E un sentimento così forte e travolgente va buttato fuori, va scritto nero su bianco, va impresso con tanto di data; il foglio che contiene la tua lettera d’amore va guardato, va imparato, va custodito, va portato con te nel portafoglio fra banconote sgualcite o nell’agenda tra appuntamenti dal dentista e appunti da ricordare.
Va conservato da qualche parte, dentro un libro o in bagno fra i cerchietti per i capelli e gli ombretti fluo; va passato di cassetto in cassetto, va riposto anche in garage, ad un certo punto, fra le carte che non credi ti servano più ma non vuoi buttare.
Perché poi un giorno starai cercando la ricevuta di una bolletta, la foto di classe del tuo ultimo anno di liceo o il diario che scrivevi quando avevi 8 anni, e d’un tratto ti troverai quel foglietto fra le mani, e ti si fermerà il cuore.
Eccoti. Sei tu che parli d’amore. Sei tu che provi amore. E se hai provato amore quel giorno, lo puoi provare ancora.
Lo stai provando anche adesso, perché ti stai volendo un gran bene scoprendo quanto eri tenera quando tenevi quella penna in mano.
Sarà come una magia; sarà come trovare la ricetta di un incantesimo che serve a farti sentire ancora il cuore pulsare di un sentimento diverso dall’ansia e dalla preoccupazione e dai pensieri e dalla tristezza e dalla pesantezza di una vita che corre troppo e a volte ti lascia indietro. O anche solo dalla fretta che ti fa dimenticare quanto amore puoi dare.
Sarà la tua fonte di eterna giovinezza per sentirti viva sempre. Una magia che devi far cominciare adesso.
Scrivila per la persona che ami, o per tua madre o tuo padre o i tuoi figli, o per la tua Micca, o per te stessa.
Scrivila per chi hai perso o per chi deve ancora arrivare.
Scrivila ad una persona che conosci in tutti i suoi nei, o a quella che non hai mai incontrato se non nella tua testa.
Basta tu la scriva.
Poi piega in quattro il foglietto e mettilo nel primo posto che ti capita.
A tutto il resto penseranno il tempo ed il destino.
Tu intanto hai fatto la tua parte, e hai ipotecato un momento di te che dice una cosa su tutto: TU SAI AMARE.
L’hai fatto, lo stai facendo, o lo farai. E questa sensazione ti riempirà dentro come il tepore che ti avvolge quando vai a dormire d’inverno per la prima volta col piumone.
Almeno per me, è stato così, grazie ad un foglietto di 7 anni fa che conteneva queste righe.
Voglio la favola.
Voglio tu mi dica che va tutto bene.
Voglio tu mi dica che sono bella anche appena sveglia, o dopo aver stirato per tutto un pomeriggio d’estate.
Voglio tu mi capisca al volo, e mi conosca come nessun altro, e ti piaccia ascoltarmi anche se parlo troppo.
Voglio tu sappia cosa mi piace mangiare-leggere-indossare-ascoltare.
Voglio tu sappia stupirmi sempre, senza deludermi mai.
Voglio pomeriggi passati stesi sull’erba ad indovinare la forma delle nuvole, e voglio un caffè nero tra i portici di Istanbul.
Voglio essere certa che non esisti, perché solo così potrei accettare di non averti ancora trovato.