CIO’ CHE CONTA E’ CREDERCI
Centomilalire; duecentomilalire; trecentomilalire; quattrocentomilalire, cinquecentomilalire.
Non sono impazzita, e tanto meno ho battuto la testa e mi sono svegliata convinta di vivere ancora all’insegna di un’altra valuta.
Semplicemente, ho ritrovato un foglio di giornale strappato, che conservavo così dal 1999.
Lo conservavo tra le mie carte più importanti, e un motivo c’è.
Questa pagina di giornale strappata mi è arrivata per posta il 14 ottobre 1999.
E quando ho aperto la busta, ho srotolato la pagine e ho visto il suo contenuto, mi sono messa a piangere, anche se ancora non so se per il sollievo o per la sorpresa per quello che conteneva.
Era un giovedì, subito dopo pranzo.
Ero appena tornata dalle mie solite mattine come baby-sitter, e avrei avuto giusto il tempo di mangiare qualcosa al volo prima di iniziare con il pomeriggio all’insegna delle ripetizioni.
La sera, avrei saltato la cena per correre a lavorare in pizzeria.
Era un giovedì, e io ero disperata perché avevo contato e ricontato quelle banconote, e non bastavano. Le tenevo in una busta bianca, nel primo cassetto della mia scrivania; e aggiungevo via via quello che guadagnavo con tutti i miei lavoretti.
Erano i soldi che servivano per pagarmi l’università, perché il patto con i miei era stato chiaro: se vuoi laurearti, siamo felici. Ma non ti possiamo aiutare economicamente.
Quel giovedì, mancavano ancora trecentomilalire per poter pagare la prima rata; avrei dovuto fare il pagamento entro due giorni. Non potevo né tantomeno volevo parlarne con nessuno, perché ero sempre stata abituata a fare da sola, e poi, lo confesso, a chiedere soldi mi sono sempre vergognata parecchio.
Ero convinta che mi sarei ritirata, almeno per quell’anno. Ma dentro di me, una voce continuava a dirmi di non mollare, di continuare a crederci.
Quel giovedì torno, e trovo una busta a nome mio, spedita da un comune a 30km da casa mia e nel quale non conoscevo nessuno.
Apro la busta. Vedo la pagina strappata di un quotidiano, Il Giornale di Vicenza, datata lunedì 11 ottobre. E’ ripiegata più volte su se stessa, e c’è solo una parola scritta – col normografo.
Credici. CREDICI.
Apro la pagina. C’erano 3 banconote da centomilalire.
Sono passati 16 anni da quel giorno. Non ho mai scoperto chi fosse stato a spedirmi quei soldi, esattamente quelli che mi mancavano. Ma non ho mai smesso di sentire dentro di me quella forza enorme, quell’energia vitale che nasce dentro ognuno di noi quando ci dicono di crederci.
CREDICI.
Qualsiasi sia il tuo progetto, il tuo sogno, il tuo piano, la tua utopia.
Qualsiasi sia la tua passione, il tuo mestiere, la spinta che ti fa alzare dal letto la mattina o il pensiero positivo che ti fa addormentare sentendoti nel tuo, sentendoti pienamente dentro il tuo cammino.
Non permettere a nessuno di distrarti o demolirti o convincerti che stai sbagliando.
E’ quello che vuoi, che senti tuo? CREDICI.
Perché quando credi in quello che fai, credi in quello che sei, e quando credi in quello che sei non ti può fermare nulla.
Hai il destino nelle tue mani.
E sei tu che decidi se stringerle più forte, o lasciarti fuggire quello che tieni custodito. Solo tu, e nessun altro.
Da quel lontano ottobre del ’99, la mia vita ha subito talmente tanti cambiamenti di rotta che a volte mi stupisco di alzarmi la mattina e sapere ancora dove sono e cosa mi aspetta quel giorno.
Mi sono laureata, perché credevo nel mio corso di studi. Ho amato la mia facoltà, e tutti i miei esami di storia e filosofia uno più dell’altro. Eppure non ho mai insegnato quelle materie, se non per fare lezioni private.
Ma solo il fatto di averci creduto, prima in quegli esami e poi nelle mie scelte, tutte quelle che ho dovuto affrontare, è stato per me il combustibile che ha fatto ardere la mia vita.
Perché in tutto, in tutti, sempre e per sempre, ricordalo, amica mia. Ciò che conta è CREDERCI.