LA SOLITUDINE DEI NUMERI UNO
Che assomiglia alla solitudine dei numeri primi, ma non è la stessa cosa; non è il titolo – un po’ furbetto – di un libro.
La solitudine dei numeri uno è quell’ombra potente quanto nascosta che si cela dietro alle persone abituate a stare lassù, al primo posto, sul primo gradino del podio.
Ne ho conosciuto qualcuno, così. Numeri uno per nascita, o per talento, o per quell’intuizione particolare che nel loro campo li fa diventare imbattibili. Numeri uno abituati a vincere, a decidere per gli altri, a poter avere tutto schioccando le dita, a poter pretendere di avere tutto anche solo con uno sguardo.
A tratti li ho anche invidiati, io, così abituata a non aspettarmi nulla se non la mediocrità.
Io, allenata ad autoconvincermi che tutto sommato il vero obbiettivo alla fine deve essere arrivare secondi.
Li ho temuti, perché mi facevano sentire in bilico, e mai abbastanza sveglia.
Li ho odiati, qualche volta, perché mi costringevano sempre a sentirmi inferiore.
Un giorno però, ho alzato la testa, raddrizzato lo sguardo, e puntato i miei occhi dritti in faccia a loro. E per la prima volta, l’ho vista. La solitudine dei numeri uno. La solitudine di chi arriva talmente in alto, da sembrare irraggiungibile e quindi scomodo. L’ho vista dietro alla loro arroganza, nascosta nella freddezza della loro prepotenza.
L’ho vista nelle pieghe di quel loro sorriso spavaldo, irriverente.
L’ho vista nelle strette di mano date sempre con troppa forza e nel passo di chi entra in una stanza sicuro perché tanto una sedia – la sua sedia – è sempre pronta per lui.
Ho visto tutta quella solitudine nascosta, e ho provato una gran tristezza per loro.
Perché STARE soli è una cosa, ma ESSERE soli è tutt’altra piaga.
Quando una persona è sola dentro, lo sarà sempre.
E allora vivere diventa una corsa infinita per conquistare e accumulare e restare sempre lì, al primo posto.
Fermi immobili con le unghie attaccate ai braccioli del proprio trono, perché non c’è altro scenario possibile.
Fino a quando l’ingranaggio salta, e il proprio destino di vincitore sempre al primo posto diventa una sorta di eutanasia.
Ne ho conosciuto qualcuno, di numeri uno.
E ho imparato a perdonarli.
Perché dopotutto, è solo grazie a loro se ho fatto del mio secondo posto un podio formato famiglia.