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…Mi ci vuole qualche istante per associare la luce dei fari a quel rumore, e realizzare che Ugo ci sta venendo a salvare a bordo di un trattore Fiat 411 del 1960. Eccolo lì il mio vero cavaliere…
LA DIFFERENZA TRA UN VERO UOMO E UNA MERDINA? SI RICONOSCE NEL PANICO

Camporella. CAMPORELLA. CAM-PO-REL-LA.

Alzi la mano chi di voi almeno una volta in vita non abbia provato il brivido di una performance estemporanea in ambiente agreste. E tenga alzata la mano chi di voi non abbia pensato, in quell’occasione, a quello che sarebbe potuto capitare.

Perdersi per delle sconosciute e buie stradine di campagna? Essere sorpresi nel momento clou dall’agricoltore incazzato che vi caccia via a fucilate dalla sua proprietà? Un assalto poco piacevole da qualche male intenzionato?

Beh, a me è capitato di peggio, perché mi sono resa conto che stavo con una merdina. Ecco com’è andata.

E’ un mercoledì sera di novembre, e il mio ragazzo di allora mi invita a questa fuga romantica fra i campi prima di cena. Innamorato come non mai, non vede l’ora di stare un po’ da solo con me, penso io (sorvolando inconsciamente sul fatto che vivo da sola e casa mia sta a soli 20 minuti dal posto dove lavoriamo).

Siamo nella sua macchina AZIENDALE, e il furbacchione decide di imboccare la prima stradina perpendicolare alla strada principale dove stiamo; tanto è buio, la strada non è molto trafficata, non ci vede nessuno.

Ehm, dico io, ha smesso di piovere da poco, non è un po’ rischiosa questa stradina piena di fango?

Tranquilla, dice lui, la macchina ha 4 ruote motrici.

Bene, rispondo. Ci servono tutte adesso. Siamo impantanati.

Ebbene sì, dopo neanche 20 metri di stradina, ci rendiamo conto che la macchina è bloccata. Io lo guardo sorridendo, con l’espressione della mamma che vede il bimbo entrare in casa con le scarpe piene di terra dopo che ha passato la giornata a pulire, e lo ama lo stesso.

Oh. Oh. E adesso? Sempre guardandolo mi aspetto di sentirlo snocciolare una soluzione dopo l’altra con la voce sicura di chi ha la situazione sotto controllo. Ed invece, il mio giovane cavaliere va letteralmente via di testa.
In meno di un nano secondo lo sento bestemmiare in tutte le lingue moderne (e già qua mi girano i cosiddetti perché se c’è una cosa che non sopporto sono le bestemmie, e lui lo sa).

Scende dall’auto, guarda le gomme, si mette le mani in testa, ed inizia a piagnucolare. Letteralmente.

“No, no, no! Lo sapevo! E adesso? No, no no! Tra un’ora volevo essere a casa perché sono stanco e guarda qua che situazione! Ho avuto una giornata pesante e guarda qua?!”

Io resto in auto sbalordita, domandandomi se sia uno scherzo o se sta facendo sul serio. Voglio dire, ciccio, l’idea è stata tua, tu hai scelto il posto, tu non mi hai ascoltata e sei voluto a tutti i costi venire qui.

In preda al panico più totale, il mio cavaliere di 120 chili per 1.90 di altezza chiede a me di mettermi davanti all’auto a spingere mentre lui tenta di accelerare con la retro innescata. Lo faccio con poca convinzione ma la situazione richiede il mio contributo, e se il mio cavaliere mi chiede di scendere nel fango e spingere l’auto, io lo faccio. Ma non succede nulla, l’auto non si move, per dirla alla fiorentina.

Scende come una furia e prova a spingere lui. Niente. Rientra in auto e comincia ad inveire contro tutti: il destino, il lavoro, il tempo, l’auto, ma soprattutto contro di me. Mi rendo conto che se non faccio qualcosa, saremmo potuti stare lì fino al prossimo raccolto.

Allora prendo in mano la situazione, scendo e mi incammino verso una casa che si trova a 20 metri da lì. Ricordo quella camminata come fosse ora: ricordo anche che mi ero messa a ridere, rivedendomi da fuori. Da sola, lungo una strada buia, di sera, in inverno, con stivali abito corto e senza calze perché in ufficio volevo fare la fighetta e le calze sono demodé, mentre lui sta in auto a caldo aspettando un aiuto divino. Una situazione assurda.

Arrivo alla casa, suono il campanello e con la faccia più ingenua possibile – quella che metto sempre quando sto per raccontare una balla – dico alla gentile ragazza che mi apre: ehm, ciao, scusa se disturbo a quest’ora, ma io e il mio collega (bugia nr. 1) ci siamo impantanati con la macchina mentre tentavamo di cambiare strada (bugia nr. 2), non è che potresti aiutarci?

E qui, accade l’incredibile. La ragazza mi fissa dalla testa ai piedi, si volta verso l’interno della casa e grida: papààààà? Mettiti gli stivali e prendi il trattoreeeee!!! Poi mi guarda e mi dice: vieni in macchina con me.

Mi fa salire nella sua auto e mi riporta dove il mio cavaliere senza più spada né cavallo né dignità sta aspettando. Mi lascia lì e mi dice di aspettare Ugo, suo padre.

Dopo 5 minuti vedo due fari uscire dalla casa e venire verso di noi, e contemporaneamente sento lo strano rumore come di un motore a scoppio che proprio non riesce a partire. Mi ci vuole qualche istante per associare la luce dei fari a quel rumore, e realizzare che Ugo ci sta venendo a salvare a bordo di un trattore Fiat 411 del 1960. Eccolo lì il mio vero cavaliere.

Il trattore prosegue a 5 mt all’ora, saltellando sugli ammortizzatori in pensione a ritmo del tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu del motore.

tutututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututututu.
20 minuti per fare 20 metri. La scena non potrebbe essere più surreale.

Poi Ugo-il-mio-vero-cavaliere arriva, saluta sorridendo (e dimostrando in quel sorriso che aveva già capito tutto, e secondo me non era nemmeno la prima volta che compieva un salvataggio come quello), attacca una catena al trattore, attacca l’altro capo alla macchina, e in due nano secondi ci riporta in strada.

Poi rimonta sul suo Fiat 411 e se ne va.

Io e la merdina ripartiamo, dopo qualche minuto di silenzio lui si gira, mi guarda, e con nonchalance, come se la figura dell’idiota or ora impersonata non fosse stata sua, mi dice: cerchiamo un altro posto???? Mi è ovviamente bastato uno sguardo per dirgli di no.

Cos’ho capito da questo episodio? Che se la persona con cui stai non sa gestire le situazioni di panico, sono due le cose da fare: o accetti di essere sempre tu a portare i pantaloni, o scegli di restare sola, che almeno sai di stare con l’unica persona su cui puoi contare, che sei tu.

In ogni caso, se mai ti servisse, scrivimi. Ho il numero di Ugo sempre nel portafoglio.

 

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