FACCIAMO TUTTE QUALCOSA DI CATTIVO (ALMENO UNA VOLTA) NELLA VITA
Un bambino di tre anni; una Galatina; io. Cosa c’entra la cattiveria in tutto questo? C’entra, c’entra.
Attenzione però: il racconto che stai per leggere potrebbe urtare la tua sensibilità , e cambiare di molto la (forse) buona opinione che hai di me, quindi la lettura di questa regola è sconsigliata alle persone più fragili. Tuttavia, siccome sono fermamente convinta che a questo mondo esistano anche emozioni negative, l’invidia e l’arroganza sono fra queste – ma ne parleremo in altre regole, sto per dedicare le prossime righe alla CATTIVERIA, per tentare di mettere nero su bianco una distinzione fondamentale.
Perché esistono fra noi persone cattive cattive, ed esistono invece persone che FANNO qualcosa di cattivo, almeno una volta nella vita, ma non lo sono per davvero. Nel primo caso, le persone cattive agiscono malignamente per natura, a volte senza manco rendersene conto, tanto che alla domanda “hai fatto almeno una volta qualcosa di cattivo?” la loro riposta è sempre una, e una soltanto: IO???? NO!!!!
Qualche esempio? Provate a chiederlo alla matrigna di Cenerentola.
“Matrigna, hai fatto qualcosa di cattivo ultimamente, tipo ridurre ad una serva la tua figliastra gentile e coraggiosa, chiuderla in soffitta, o romperle la scarpetta di cristallo?”
E lei vi risponderà di sicuro: IO???? Mica scherzi?!!! (Affilando le unghie sull’affettatrice).
Oppure provate a chiederlo alla vostra collega che ha appena ottenuto la promozione destinata a voi.
“Bocca di Rosa, hai fatto qualcosa di cattivo ultimamente, tipo prenderti il merito di un progetto che avevo ideato io e sottoporlo al capo comodamente adagiata sotto alla sua scrivania?”. E lei vi risponderà sicuro sicuro: IO????? Ti pare che potrei mai fare qualcosa del genere? (Spalmandosi sulle ginocchia la crema all’arnica della Just).
Perché, amiche mie carissime, le persone cattive per natura sono convinte di essere sempre nel giusto, e qualsiasi cosa accada non ci sarà mai verso di far loro cambiare idea; l’unica soluzione è pensarle con tutta la bontà di cui siamo capaci, perché sicuramente la loro cattiveria è dovuta a mancanza d’ amore quand’erano piccole.
La situazione cambia quando a fare qualche cattiveria sono le persone buone, perché per natura tendiamo a sopportare e passare oltre e a perdonare e a lasciar correre, poi alla fine siamo umane anche noi e sbrocchiamo, e sempre con le persone sbagliate e nei momenti meno opportuni. Poi ci sentiamo in colpa, e di un episodio trascurabile facciamo un caso diplomatico. E anche la più innocente delle Biancaneve si sente Crudelia Demon.
Come evitarlo? Confessando pubblicamente il misfatto. Che una volta raccontato, perderà tutto il suo potere di farvi star male e diventerà un momento di debolezza cui passare oltre. Un esempio? Ecco la cattiveria peggiore che io abbia mai fatto. E che riguarda me, un bambino di tre anni, e la più famosa delle caramelle al latte: la galatina. (Tre ingredienti da film di Quentin Tarantino).
Accadde tutto una domenica pomeriggio, in una stanza del municipio adibito a magazzino. Quella sera avrei messo in scena la replica della commedia Romeo & Giulietta, nella versione musical che avevo riscritto con la compagnia teatrale amatoriale che dirigevo allora. Avevamo debuttato la sera prima, ed era stato un successone. Tutto perfetto: gli attori, il corpo di ballo, le musiche; tanto pubblico e tantissimi applausi. Un unico neo: l’attore che interpretava il papà di Giulietta, un volontario del paese che si era detto perfetto per la parte, e io avevo fatto l’enorme errore di fidarmi, trattandosi poi soltanto di pochissime battute.
Mai errore fu più fatale, perché il soggetto non solo si era rivelato pessimo in scena, dimenticando quattro delle sei battute che aveva e manifestando nelle altre due una balbuzie che perfino sua moglie ignorava avesse, ma era diventato un porta sfiga colossale per tutta la durata del musical, dalle prove allo smontaggio della scenografia.
Quello che toccava, rompeva. Quello che spostava, perdeva. Dovunque lui fosse, c’erano problemi. Una nuvoletta di Fantozzi vivente che mi girava attorno. Mr. Bean convinto di essere la reincarnazione di Clarke Gable.
Pensi che stia esagerando? Sappi che il soggetto in questione, siccome mezz’ora prima del debutto si rende conto di avere il cellulare scarico, e temendo di perdere la telefonata da Hollywood non appena terminata la sua unica scena, pensa bene di staccare una spina a caso per attaccare il caricabatteria, scegliendo come spina a caso proprio quella che collega il gruppo elettrogeno all’impianto audio e luci. Risultato: blackout totale, gruppo elettrogeno in tilt e commedia andata in scena solo grazie alla disponibilità di una famiglia che ci concede il loro quadro elettrico.
E sempre il soggetto in questione, ad un certo punto ritiene sia opportuno spostare un tavolino in legno con sopra APPOGGIATA una specchiera per evitare che si rovini, visto che tutta la scenografia ci era stata prestata dallo sponsor. E allora pensa bene di sollevare tavolino e specchiera da solo, e fare tre scalini da solo. E toh guarda! La specchiera in equilibrio sul tavolino cade e va in frantumi! Pazzesca la forza di gravità a volte!
E vogliamo parlare della sera prima, quando convinto che stesse per iniziare a piovere si fionda con un enorme pezzo di nylon sul divano in scena per coprirlo, peccato che in quel momento stessimo recitando la parte di Giulietta morta, e Giulietta morta fosse stesa proprio su quel divano.
Ecco, questi sono solo alcuni dei problemi che ho dovuto risolvere per colpa di questo beone, che tuttavia continuava a ronzarmi intorno mettendo seriamente in pericolo il mio autocontrollo e portando la mia pazienza ad un livello di esasperazione notevole.
Fino a quel momento. Entro in magazzino per prendere un coniglio di peluche che serve in scena, e mi trovo faccia a faccia con il figlio di Mr Bean/Clarke Gable. Che si è infilato da solo nella stanza, ha preso il coniglio di peluche che tiene in braccio e cui sta ciucciando un orecchio. Il mio coniglio di scena. No, questo no. Guardo quel bimbo e con la voce più Mary Poppins che posso gli chiedo di darmi il coniglietto perché serve nello spettacolo. Il bimbo mi fissa, sputacchia ancora un po’ di saliva sull’orecchio del peluche, e mi dice: NNNNO!
“Piccolino, dammi il coniglio, dai”.
“NNNNO!”
“Dai, non fare i capricci, poi te lo ridò, ma adesso ci serve!”
“NNNO!”
“Guarda che chiamo il tuo papà sai!”
E qui il bimbo fa un ghigno, evidentemente ha già inquadrato come sia suo padre e la mia minaccia gli risulta talmente paurosa che ci ride sopra).
“Bambino, senti, se mi dai il peluche, io ti do questa buonissima caramella al latte”. E sfodero la mia arma segreta: l’ultima Galatina che avevo in tasca. Il bambino spalanca gli occhi, evidentemente la mia è un’offerta appetibile. Allungo un braccio con la caramella, tendo l’altro per prendere il peluche e fisso lo sgorbietto negli occhi. Lui sostiene il mio sguardo, si vede che nella sua testolina sta decidendo cosa gli convenga fare. Un’ultima occhiata al peluche, deglutisce in evidente salivazione pavloviana dovuta all’acquolina per la galatina, poi accenna ad un sorriso e mi porge il coniglio.
Che io afferro al volo.
Poi, sempre occhi negli occhi col teppistello di tre anni, che ora ha lasciato l’espressione da Joker e sembra piuttosto il re Leone appena nato, mi tende la manina per avere la galatina.
Che io però scarto, mi infilo in bocca e assaporo lentamente come se stessi degustando la cosa più buona del mondo, con gli occhi semichiusi.
“Mmmh, era proprio buona. Ciao ciao bambino”.
E me ne vado.
Si, lo so, sono una persona orrenda. Ma a mia discolpa posso dire che quel bambinetto oggi è un giovanotto di vent’anni, alto più di me e che sta benissimo, anzi, probabilmente gli ho evitato una dipendenza da galatine che sarebbe costata alla sua famiglia anni ed anni di dentista. Anzi, forse gli ho evitato anche una forma infantile di diabete. ora che ci penso, probabilmente gli ho fatto un favore!
In ogni caso, lo ammetto. In quel frangente sono stata una persona cattiva. Ed ora che l’ho detto sto meglio.
Quindi, ti chiedo scusa, bambino. E ti ringrazio: ripensando a quell’episodio, ne ho fatta, di strada a livello di bontà e pazienza e autocontrollo. E questo cammino mi piace!
E tu, amica, hai fatto almeno una volta nella vita qualcosa di cattivo?