LA VERITA’ E’ CHE NON TI CONOSCE ABBASTANZA
Credi possibile che una storia di quattro anni possa finire la notte di Natale a causa del regalo sbagliato? Io no.
Fino a quando non è capitato a me. Prima di pensare che io sia una stronza che antepone ai sentimenti il valore materiale delle cose però, leggi la regola fino alla fine.
Frequentavo l’università, e per mantenermi agli studi lavoravo tutte le mattine come commessa in un negozio di abbigliamento sportivo, specializzato in capi realizzati in pile. Avessi voluto, avrei potuto rifarmi completamente il guardaroba con t-shirt, felpe e pantaloni sportivi. Il destino vuole però che in quel periodo lo stile che preferivo fosse tutt’altro che sportivo, anzi.
Pantaloni a palazzo o longuette in tinta unita, twin-set color pastello, orecchini di perle e capelli raccolti ai lati con due forcine.
Margareth Thatcher ne noialtri, in parole povere. Ma tant’è, in quel periodo mi girava così, e tutte le persone che mi stavano accanto lo sapevano bene.
Qualche settimana prima di Natale, sono a cena a casa del ragazzo con cui sto da più di quattro anni.
Come ogni domenica.
Con tutta la sua famiglia, moroso della sorella e cagnolini compresi.
A fine cena, il mio ragazzo da più di quattro anni mi chiede di indossare un paio di pantaloni che vuole regalare ad una cugina per Natale. Pare che la cugina avesse la mia stessa taglia, e volevano vedere l’effettiva vestibilità dei pantaloni in questione. Un comodo paio di pantaloni in pile nero.
Li indosso e sfilo davanti a tutti, moroso della sorella e cagnolini compresi. A quanto pare mi stanno molto bene, dicono loro. Io non li indosserei mai, penso dentro di me. Ma tanto sono per la cugina, quindi posso fingere che siano comodi sperando di toglierli il prima possibile.
Archivio l’episodio.
Arriva la notte di Natale.
Mezzanotte è passata da poco, e con il mio ragazzo con cui sto da oltre quattro anni siamo in salotto, da soli, per scambiarci i regali. Ricordo ancora la sua espressione: non vedeva l’ora che aprissi il suo.
Seduti uno a fianco all’altra sul divano, mi mette un pacco sulle gambe. Apro un lato della velina, poi l’altro. E non credo ai miei occhi. Era una tuta in pile. Era il completo in pile di quei pantaloni che avevo provato qualche settimana prima.
Ricordo la delusione. Ricordo il tono tremante della mia voce mentre prendevo il pacco, senza nemmeno aprire la felpa, me lo toglievo dalle gambe e lo posavo sul divano a fianco a me. Grazie, amore. Dai, adesso apri il tuo.
4 mesi dopo ci eravamo lasciati. Colpa di una tuta in pile? No. Colpa del fatto che quella notte di Natale, con la neve che cadeva fuori, le lucine sull’albero e una vita da progettare assieme, mi ero resa conto che quel ragazzo mi amava davvero, tanto da pensare al regalo giusto per me mesi prima.
Ma non mi conosceva, non aveva mai provato a conoscermi in quattro anni.
Sognavamo una casa e dei bambini, organizzavamo uscite con gli amici e le prime vacanze da trascorrere assieme, ma lui non aveva mai provato a guardarmi davvero, e a conoscermi per quella che ero.
E non era soltanto una questione di abbigliamento: dai miei gusti nel vestire a quelli nella musica, dal mio modo di prendere le decisioni a quello di reagire agli imprevisti, lui non mi conosceva.
Era passato dall’attrazione alla convinzione. Dall’essere interessato a me, ad essere convinto di amarmi, mentre inconsciamente stava con me aspettando che io diventassi quello che lui voleva io fossi.
Stava con me senza accorgersi di me, arrivando a progettare e pensare e comprare e non vedere l’ora di regalarmi qualcosa che – se solo mi avesse conosciuta davvero – avrebbe capito da solo non avrei mai portato.
Non amava ME, amava l’idea di quello che io ero nella tua testa e sarei diventata davvero stando con lui.
Ma la verità era che non mi conosceva abbastanza, e il suo amore si basava su una falsa partenza.
Come quando torni a casa stanca da lavoro in un caldo giorno d’estate convinta di avere una bottiglia di acqua fresca in frigo, entri che stai morendo di sete, non ti togli nemmeno gli occhiali da sole per gettarti sulla porta del frigo, che apri e ti accorgi che l’acqua non c’è, e allora ti accontenti di bere acqua a temperatura ambiente, convinta ti basti lo stesso.
Ma la vita ci deve realizzare, non bastare. E chi ci ama davvero, deve saper conoscere chi siamo, imparare quello che fa davvero per noi e distinguere ciò che siamo da ciò che vuole noi si sia.
Anche se si tratta di immaginarsi a letto con Margareth Thatcher! (Fase ampiamente e fortunatamente superata, comunque!)