TORNARE SINGLE RENDE CORAGGIOSI
Natale 2010, numero di calze appese al camino: 3. La mia, la sua, quella del nostro cane, Nerone.
Natale 2011, numero di calze appese al camino: 2. La mia e quella del MIO cane, Nerone.
Natale 2012, numero di calze appese al camino: 1. La mia.
Vuoi sapere cos’è successo tra un Natale e l’altro? Ho fatto delle scelte.
Ho scelto di tornare single dopo 6 anni perché non ero più felice per mille, piccoli motivi quotidiani che pesavano nella nostra storia come macigni portati tutti i giorni nelle tasche; ho scelto di ferirlo, perché lui non si era accorto che ci stavamo togliendo ogni giorno qualcosa, invece di raddoppiare i nostri mondi. Ho scelto di deludere i miei genitori, che oramai aspettavano con ansia il passaggio alla casella successiva – bebè in corso – in una sorta di gioco dell’oca evolutivo che non prevedeva ritorni alla casa base.
Ho scelto di rinunciare ai suoi amici e alla sua famiglia, all’equilibrio delle nostre abitudini, alla certezza di svegliarmi tutti i giorni sapendo già quello che avrei detto e sentito in risposta.
Ho scelto di mettere me al primo posto, perché non ero più felice e tutti meritiamo di lottare per essere felici fino alla fine, giorno dopo giorno.
Così lui era tornato dai suoi, e io ero rimasta sola con Nerone, che per otto mesi è stato la mia sola vita sociale. Passavo il giorno in ufficio – nel frattempo avevo anche cambiato lavoro, sicché uscivo di casa prestissimo e tornavo la sera piuttosto tardi – e tutto il resto del mio tempo era per la mia palla di pelo nera dagli occhi azzurri.
Occhi sempre più tristi, tuttavia. E per quanto facessi finta di non accorgermene, lo sguardo abbattuto di Nerone quando la mattina uscivo di casa era sempre lì, pronto a ricordarmi che sarebbe rimasto solo per 10, 12 ore. Dopo 8 mesi, eccomi di nuovo a dover scegliere, perché a volte sembra che la vita ti ponga davanti una prova dopo l’altra solo per tenere in allenamento la tua capacità di resistenza al dolore e al dubbio.
Dovevo cambiare casa, perché l’affitto era troppo alto e da sola non ce la facevo più. Il nuovo appartamento era al primo piano. A lavoro mi si prospettavano trasferte all’estero, e non avevo nessuno che potesse tenere Nerone, che aveva iniziato a farmi piccoli dispetti in casa perché era stufo di stare tanto tempo da solo.
Nemmeno il tempo di realizzare quale sarebbe stata la cosa giusta da fare, che incontro una famiglia, distante solo qualche chilometro da dove sarei andata a stare.
Vogliono adottare il mio cane. Li conosco, e li amo al primo impatto. Nonni, genitori, una figlia grande, un’altra più piccina. Giardino e spazi aperti. Incontrano Nerone la prima volta, pare si piacciano parecchio.
Domenica 30 agosto 2012 mi sveglio tardi. Non posso credere a quello che sto per fare. Non voglio fare quello che sto per fare. Ma sento che è la cosa giusta, perché Nerone non è un pelouche che posso prendere quando ho voglia di qualcuno che scodinzola per me e lasciare per il resto del tempo a fare il giocattolo.
Preparo le sue cose, prendo il guinzaglio, lo guardo. Lui fissa il guinzaglio, guarda me, e scappa sotto al letto. Non era mai accaduto, di solito era così felice di uscire che quasi, quasi se lo metteva da solo.
Lo prendo in braccio, gli parlo vicina, vicina all’orecchio. Gli spiego la situazione, quello che sta per accadere. Mi convinco sia d’accordo.
Saliamo nella mitiKa, e andiamo dalla sua nuova famiglia. Mi tremano le mani sul volante, in gola un groppo che non riesco a mandar giù.
Arrivo dalla nuova famiglia, scendiamo. Fuori mi aspettano tutti; la nonna e la mamma mi guardano, e ci mettiamo a piangere. Ripensandoci ora, sorrido pensando a come noi esseri umani si abbia talmente tanto bisogno di piangere a volte, che commuoversi diventa un’esigenza, più che una fragilità.
Lascio libero Nerone, che inizia a correre e saltellare come un canguro impazzito, studiando tutto il verde che circonda la casa. Poi torna da me, mi salta sulle ginocchia con le gambe davanti, mi dà una leccatina alla mano, e corre a sedersi sotto le gambe della padrona nuova.
Sto bastardo di un cane aveva già capito che andava in meglio. E tutt’ora è felice e sereno più che mai.
Quella sera d’agosto però, non riuscii nemmeno a dormire in casa, tanto stavo male, e andai a casa dei miei: avevo bisogno di stare nella mia vecchia cameretta per sentirmi bambina, perché in quei mesi il cuore mi si era riempito di rughe. Prima di addormentarmi ripensai a tutti i mesi appena trascorsi, a quello che avevo volontariamente scelto di affrontare e far affrontare, e la conclusione è stata una soltanto: avevo fatto la cosa giusta, ed ero stata in grado di andare fino in fondo. Ero diventata ancora più forte e, soprattutto, ero rimasta fedele a quella che sono, e alla vita che voglio. Certo, avevo pagato un prezzo altissimo, ottenendo in cambio però la consapevolezza che ero una donna coraggiosa, perché negli ultimi mesi avevo rinunciato a tutto. Per recuperare me stessa.
Questa è solo la mia storia, una storia di scelte che possono essere condivisibili o meno; ma la regola di fondo funziona con tutti, perché è una legge universale. Tornare single rende coraggiosi.
Non so quale sia la tua storia personale, amica che sei arrivata fino a qui, ma ricorda questo: non importa da che parte stai – se vieni lasciata o sei tu a farlo – ricorda sempre che è un percorso lacerante, ma una volta rimarginata la ferita sarai più imbattibile che mai.
Perché il coraggio vince su tutto.
Natale 2014, numero di calze appese al camino. Nessuna. Ma solo perché nella casa nuova il camino non c’è.