
E’ PROPRIO QUANDO PENSI DI NON FARCELA CHE CE LA STAI GIA’ FACENDO
E’ proprio quando pensi di non farcela, che ce la stai già facendo.
Ho scritto per la prima volta questa frase in una sera d’inverno di qualche anno fa, appoggiando un foglietto sgualcito e strappato sul volante della mia macchina e tentando di spremere un po’ d’inchiostro soffiando sulla punta di una biro che avevo recuperato da sotto il sedile. Da allora, in tutti i miei momenti più difficili, dovuti ad episodi più o meno importanti, nell’istante preciso in cui ero sicura che non ce l’avrei mai fatta, quelle parole mi tornavano in mente, e sapevo esattamente che era proprio in quell’istante che mi stavo guadagnando la vittoria.
E pensare che in quel lontano giorno d’inverno, il fattore scatenante era stato un mio malessere fisico, perfettamente noto al 99% di noi donne: la C O L I T E NERVOSAAAAA (devi leggere questa frase con lo stesso tono con cui tanti anni fa su Rai Uno dicevano: la luna neeeraaaaaaa).
Orsù, chi di voi, amiche carissime che state leggendo questa regola, non ha provato almeno dieci volte in vita lo stato frustrante e doloroso della colite nervosa: lo stomaco gonfio e teso come una palla da basket, le fitte al basso ventre che di molto si avvicinano alle doglie, il dolore alla schiena – altezza reni – come se qualcuno vi stesse spingendo contro un muro facendo leva proprio da lì. Il momentaneo sollievo solo se state piegate ad angolo retto. La quasi impossibilità di camminare diritte, ed un unico desiderio in testa: potervi mettere sdraiate a letto, in completa solitudine, con la boule dell’acqua calda sullo stomaco – anche i semi di ciliegio scaldati vanno bene, e pure il termoforo per le più tecnologiche – senza dover far nulla se non prendevi cura di voi.
E la cosa peggiore, in questi casi, è che non si tratta solo di un malessere fisico, che peraltro noi donne sappiamo sopportare benissimo, vedi alla voce “parto naturale senza epidurale dopo 12 ore di travaglio” o “depilazione inguinale integrale”; la cosa peggiore è la consapevolezza che la colite nervosa, e lo dice il nome stesso, non è solo un fattore fisico perché, unfortunately, deriva da uno stato mentale e psicologico che non funziona: qualcosa dentro di noi non va, e il corpo ce lo dimostra sferzandoci nel ventre. Quindi sappiamo che il dolore forse passerà con un po’ di riposo e qualche accorgimento, ma fino a che non ne abbiamo risolto la causa, sarà costantemente un sintomo destinato a riproporsi.
Quel famoso giorno d’inverno, io mi ero svegliata già al mattino con la pancia gonfia misura gravidanza-di-sedici-settimane. Gemellare. Lavoravo a Padova, e per raggiungere l’ufficio usavo la macchina fino alla stazione, il treno fino a Padova e da lì a piedi fino all’ufficio. Stessa logica per il ritorno.
Durante la mattinata avevo ben sopportato il fastidio “coliticoso”, ma dalle due del pomeriggio avevo iniziato veramente a stare male. Fitte dolorose e continue, che anche stare seduta mi dava fastidio. E l’umore era sofferente e teso come la mia pancia; stavo passando un periodo annodato come un gomitolo con cui un gattino aveva passato l’infanzia a giocare, e da settimane ormai mi svegliavo la mattina pensierosa, oppressa e triste, e andavo a dormire la sera pensierosa, oppressa, triste ed esausta.
Quel giorno non vedevo l’ora arrivassero le 5 per tornare a casa. Ma il solo pensiero di dover affrontare il tragitto di ritorno mi dava la nausea.
Ore 17. Spengo il pc, infilo il cappotto, saluto i colleghi e vado verso le scale. Uhm, meglio prendere l’ascensore. Esco in strada ed inizio a camminare fino alla fermata dell’autobus. Faccio fatica, mi si azzera la salivazione. L’autobus per fortuna arriva presto, ma dentro non c’è un solo posto per sedersi. Continuo a pensare che non ce la farò mai, mentre sento delle fitte bollenti partirmi dalla schiena.
Arrivo in stazione, mi appoggio ad una colonna mentre aspetto il treno al mio binario. Tento di concentrare le poche forze positive che mi sono rimaste nella speranza che in treno ci sia un posto, almeno uno, per sedermi. Sempre con quel pensiero fisso: non ce la farò mai.
Il regionale arriva; ed è ovviamente pieno in ogni angolo. Salgo sapendo che in fondo il viaggio dura solo una ventina di minuti. Altra cosa ovvia quando si tratta di Trenitalia, è che il riscaldamento d’inverno nei regionali funziona solo una volta all’anno, e cioè proprio in quel giorno in cui stai male e sei ammassata in mezzo ad altre persone senza nessuna possibilità di poterti aprire anche solo un bottone del cappotto.
Inizio a sudare freddo, pregando di non svenire in mezzo a tutti i pendolari. Ancora quella frase tagliente come un foglio di carta preso di sbiego con il polpastrello. Non ce la farò mai.
Arrivo alla mia fermata; i dolori mi stanno piegando a metà. Cerco fra gli altri passeggeri se magari ci sia qualcuno che conosco cui chiedere un appoggio fino all’auto; nessuno.
Mi incammino lungo il sottopassaggio, esco dall’edificio e mi ritrovo lì, lungo la strada, a cercare nell’orizzonte la mia macchina parcheggiata lungo tutto il viale che porta alla stazione. Guardo in là. Guardo più in là. Non ci posso credere: la mia è quel puntino talmente lontano che il verde scuro sembra nero. Devo percorrere ancora seicento metri.
Sto per mettermi a piangere. In testa inizia a balenarmi lo stesso ritornello: non ce la farò mai, non ce la farò mai. Faccio i primi passi. Non ce la farò mai. Mi fermo per respirare, e mi sembra che la macchina invece di avvicinarsi sia sempre più lontana.
Non ce la farò mai. E dicendolo, faccio un passo. Poi un altro. Un passo dopo l’altro. Fino alla macchina. Salgo, mi siedo, e mi si riempie la testa di un tale sollievo e calore, simile a quando d’inverno senti una sberla di aria fredda sulla schiena, allunghi la mano per cercare la canottiera che abbassi con un gesto automatico, e in quel calore ritrovato ti senti al sicuro.
Ed ecco quella frase. E’ proprio quando pensi di non farcela, che ce la stai già facendo. L’importante è non fermarsi mai. L’importante è immaginarsi sempre come un maratoneta all’ultimo chilometro della sua gara più importante e bella: vedi il traguardo davanti a te, e sai che saranno i metri più difficili da percorrere. Ma sai anche che tutti gli altri sono dietro.
Un passo dopo l’altro.
Continua pure a pensare a quanto sia difficile, a volte impossibile, ma mentre lo pensi, continua a fare un passo dopo l’altro.
Pensa, pensa e pensa a quanto sia difficile, ma mentre lo fai, non fermarti.
Alla fine, proprio mentre capirai che pensare non ti aiuta, sarai arrivata; e avrai vinto, anche questa volta.