YOU CAN BE HERO
Secondo Google Maps 2.7 km si percorrono in 4 minuti.
Ma Google Maps non considera gli eventi collaterali; e quella notte di venerdì 17 febbraio 1989, di eventi collaterali significativi ce ne furono almeno due.
La nebbia, prima di tutto.
Una nebbia mai vista prima, calata sopra ogni cosa come un velo di crinolina.
E poi una telefonata, arrivata quasi a mezzanotte, che aveva catapultato me e mamma dentro la sua Panda bianca.
Quello che ricordo di più di quella notte è un profumo, dolciastro e morbido, rassicurante e infantile: quello delle gomme da collezione che aveva Jennifer, centinaia di gomme di tutti i tipi, colori e forme.
Mamma mi aveva portata da lei mentre andava in ospedale, e noi ci eravamo messe a giocare con quelle gommine, fingendo di non avere capito quello che era successo, fingendo di non avere paura.
Anche oggi, pagherei qualsiasi cosa per sentire di nuovo il profumo di quelle gomme, perché mi riporterebbe alla vita che avevo prima di quella sera.
Prima che papà avesse l’incidente.
Quella sera era uscito con i suoi amici di sempre, Saverio e Mariano.
Quella sera guidava Saverio, e papà era seduto dietro la sua Alfa GTV rossa.
Dicono stessero chiacchierando, come sempre.
Dicono papà fosse con la testa fra i due sedili degli altri per chiacchierare più da vicino.
Dicono che la botta sia stata più forte proprio per quel motivo lì.
Dicono che la macchina che li centrò in pieno stesse correndo troppo, davvero troppo per essere in centro città.
Dicono che papà sia stato fortunato, perché dietro la macchina del suo amico c’era la bombola del GPL, che avrebbe potuto esplodere mentre tentavano di tirarlo fuori dalle lamiere.
Dicono che papà sia stato fortunato, perché l’ematoma al cervello era di quelli che si sarebbero potuti assorbire da soli, anche se nessuno sapeva di preciso quando, come, e cosa sarebbe stato poi.
L’importante adesso era che uscisse dal coma.
O almeno così dicono.
Colgo queste frasi a pezzetti, mentre mamma ne parla al telefono con alcuni parenti.
Siamo ancora a casa di Jennifer – Saverio è suo papà – e guardo i volti degli adulti che stanno parlando della vita del mio, di papà, come se io non fossi lì in quella stanza con loro.
Guardo mamma.
Il volto tirato, la voce piegata dalla preoccupazione.
Mi guarda, e capisce che il suo compito adesso è farmi sentire al sicuro.
Sono quasi le quattro di notte quando ripartiamo dentro la sua Panda bianca.
C’è ancora la stessa, maledetta nebbia di prima.
Mamma va piano, stringe le mani sul volante che le si vedono le nocche tutte bianche; credo stringa così tanto il volante per non scoppiare proprio adesso.
Mancano 2.7 km a casa.
Conosciamo la strada a memoria, ma la nebbia cancella tutte le certezze.
Dicono non ci sia mai più stata una nebbia così. Dicono.
Mancano 2.7 km, stiamo per fare una curva, e mamma frena di colpo.
Troppa nebbia. Dentro la curva ci siamo quasi finite.
Fissiamo l’acqua del fosso, così terribilmente vicina.
E in quel momento si accende qualcosa dentro di me.
E’ il mio turno, adesso, di essere coraggiosa. E lo posso fare, perché una parte di me sa che devo e posso essere una piccola eroina.
We can be heroes; possiamo tutti essere degli eroi.
Afferro la manovella del finestrino, la giro verso il basso più veloce che posso.
Giù tutto.
Mamma non dice niente, perché ha capito che io ho bisogno di farle vedere che sono forte e che lei ha bisogno che io lo sia.
E così, percorriamo quei 2.7 chilometri in silenzio, io con tutta la testa di fuori a controllare la strada e a guidarla lontana dal ciglio.
Il freddo mi fa lacrimare – o forse stavo solo iniziando a rendermi conto di quello che era successo.
Ma quando arriviamo a casa, mi sento come la protagonista di uno dei cartoni che guardavo sempre di pomeriggio.
Mi sento magica.
E’ stata quella notte lì, fra la nebbia e il profumo delle gommine, che ho scoperto per la prima volta che potevo essere una bambina coraggiosa.
Ho scoperto che potevo essere un’eroina, se volevo.
Da allora, ogni volta che mi trovo a vivere qualcosa che sembra molto più grande di me e sento la paura di non farcela prendermi lo stomaco, ripenso a quella bambina spaventata, con la testa fuori dal finestrino dell’auto in pieno inverno.
Ripenso alle lacrime di quella bambina, e al coraggio che ha dimostrato.
We can be heroes. Io quella volta lo sono stata, e puoi esserlo anche tu.
Perché ci vuole coraggio per vivere, ci vuole coraggio per amare, ci vuole coraggio per inseguire i propri sogni, ci vuole coraggio per andare contro corrente, ci vuole coraggio – forse ancor di più – per sopportare i compromessi, ci vuole coraggio per crescere i propri figli, ci vuole coraggio per perdonare i propri genitori, ci vuole coraggio per camminare a schiena dritta quando tutto sembra volerti spezzare la colonna vertebrale.
Ci vuole coraggio per restare quello che siamo.
Ci vuole esattamente il coraggio che hai anche tu, ogni volta che cadi e ti rialzi e cadi e ti rialzi.
Qualsiasi sia il momento che stai vivendo adesso, proprio adesso, ricordartelo sempre.
You can be hero. Tu puoi essere un eroe, il tuo eroe.
E lo sai.
Papà si è rimesso, anche se c’è voluto un tempo infinito e indecifrabile.
Dicono che una nebbia così non ci sia stata mai più.
Dicono che il coraggio sia la virtù dei forti.
Dico che hanno ragione.