QUANDO STELLA, STELLINA LA CANTA IL PAPA’
E’ cominciata con un gap, la tua vita dentro la mia. Con uno svantaggio, con un disequilibrio.
E’ cominciata ad armi impari. Anzi, se devo essere sincero, non mi sono mai sentito tanto vulnerabile come quando mi hanno detto che esistevi.
E’ cominciata con il fuso orario; lei che c’eri l’ha saputo prima.
Lei l’ha saputo, io l’ho scoperto.
E passeremo tutto il resto della vita – la nostra, la tua – a tentare di allinearci di nuovo, come degli agenti segreti che partono in missione e nessuno capisce una parola di quello che dice l’altro.
Una torre di Babele sentimentale.
E’ cominciata con una trasformazione, che ha fatto di lei il centro, e di me un satellite accessorio.
E’ cominciata con un furto, la tua esistenza.
E il ladro sei tu, perché hai rubato la mia donna, facendola diventare tua madre. E dandole un potere immenso, il potere più spaventosamente immenso della terra: quello di metterti al mondo, quello di farti diventare una persona nuova.
E’ cominciata come una sinfonia, che tuttavia non sarà mai un duetto, perché è cominciata che eravamo in due, lei e io, ma un istante dopo eravamo il mondo intero. Lei, io, te e tutto il resto delle persone attorno a noi.
E l’ordine dei ruoli che sarà sempre lo stesso.
Lei dirige, io eseguo. Entrambi concentrati su di te, che sei il nostro spartito. La nostra opera prima. Il nostro capolavoro.
E’ cominciata che a lei poi ho dovuto concedere tutto, a me invece tutto è stato chiesto. Perché il peso maggiore è lei che lo porta, è lei che cambia, è il suo corpo che ti avvolge, è suo il cordone che ti lega e ti nutre. Lei è tua mamma; io devo fare il papà.
E questo mi fa essere un po’ comparsa.
Sono la mano che ti cerca attraverso la sua pancia. Tocco lei cercando i tuoi piedini, che toccano lei cercando la mia mano. Sono la voce che senti quando lei mi dice che hai sentito la mia voce.
Eppure, sei anche il mio, di bambino. C’è anche me in quello che stai diventando.
E io ho paura, figlio. Non ho mai avuto tanta paura in tutta la mia vita, perché quando è cominciata la tua, di vita, io non ho più smesso di pensare.
Lei ti aspetta, e io penso se saprò essere un bravo padre.
Se saprò volerti bene per quello che sarai, se saprò accettare che sarai diverso da me, se saprò sopportare che sarai esattamente uguale a me (se saprò accettare quanto questo le darà fastidio!).
Lei vomita, e mentre le tengo i capelli io penso se saprò non impazzire quando ti vedrò stare male. Se saprò proteggerti. Se saprò schermarti dal mondo che sta impazzendo.
Lei ha voglia di pizza alle tre del mattino, e io penso se saprò darti sempre tutto quello di cui avrai bisogno. Se saprò evitarti di rinunciare, se saprò darti la possibilità di scegliere. Se saprò accettare le tue scelte, quando saranno così lontane da quelle che avrei preso io.
Lei sente che ti muovi per la prima volta. Piange. Mi prende la mano e se la mette sulla pancia, perché sa che questa emozione va condivisa, perché vuole che io capisca che non potrà mai più amarmi allo stesso modo, ma soprattutto vuole che io cominci ad accettarlo, che lei saprà amare te molto, molto di più.
Tu calci dentro la sua pancia, che – a me puoi dirlo – inizia a diventarti stretta, e io penso a quando ti regalerò la prima palla, o a quando toglierò le ruotine dalla bici.
A quando mi chiederai di farti le trecce, più per compassione che per fiducia nelle mie capacità di abbellirti i capelli.
Penso se saprò crescerti nel modo giusto, penso se saprò lasciarti andare, prima o poi. Penso se saprò riprenderti quando tornerai. Penso se saprò perdonare i tuoi errori.
I miei no, di questo ne sono già certo.
Tu nasci, sgusci fuori da lei – che non credevo potesse essere così forte e così bella e così crudele e così dolce allo stesso tempo – e io penso se saprò mai tenerti in braccio, se sarò mai in grado di abbracciarti davvero senza sentirmi piccolo, se saprò mai davvero essere alla tua altezza. E alla sua.
Tu piangi, e penso se saprò mai sopportare le tue lacrime, le tue sconfitte, le tue delusioni; se saprò mai concederti di vedere le mie, di lacrime, quando capirò che sono fiero di te.
Tu dormi, in quella tutina troppo grande – che ha scelto lei; dormi con le braccia alzate, i pugni chiusi, il berretto che ti cala sugli occhi. E io penso se saprò mai accettare che la tua versione della vita sia diversa da quella che ho programmato per te.
Se saprò mai accettarti davvero.
Se saprò mai accettarmi davvero, in questo ruolo. Se saprò mai dimostrarti davvero che ti voglio bene. Perché già so, che non riuscirò mai a dirtelo.
E’ notte. La mia donna – la tua mamma – nel suo corpo nuovo che ora appartiene ad entrambi, sta dormendo accanto a me. Penso se sapremo mai toccarci di nuovo come prima che arrivassi tu. Ma penso anche che sia bellissima la tua mamma. Siamo due esseri umani fortunati, ad averla intorno, lo sai?
E’ notte. Tu piangi. Mi alzo io (domani mattina glielo farò pesare – ovviamente per scherzo, ma sotto sotto non vedo l’ora tu pianga di notte, perché mentre ti prendo per calmarti siamo solo noi. Sei solo mio).
E’ notte. Ti tengo in braccio, ho imparato a farlo, vedi? Mi guardi.
Gli ho fatti anche io, i tuoi occhi.
Saprò fare in modo che possano vedere solo cose belle? Saprò fare in modo di darti sempre le risposte giuste? Saprò fare in modo di insegnarti la potenza della verità? La capacità di distinguere il bene dal male? Saprò insegnarti il coraggio? La forza? La fede? Saprò accettare se sceglierai di non credere a niente? Saprò insegnarti ad amare? Saprò accettare che un giorno amerai anche tu? Saprò accettare chi sceglierai di amare?
Saprò essere un bravo padre?
Quante domande, hai ragione.
Quante domande inutili, soprattutto adesso che vuoi soltanto una cosa da me: che io ci sia. Che ti possa stringere. Che possa darti in questi miei gesti tutto l’amore che ho. E che serva a scaldarti il cuore anche quando non ci sarò più.
Perché un giorno io non ci sarò più. Ma ti proibisco di sentirti solo, capito? Ti ordino di non sentirti mai solo. Ti ho fatto anche io. I tuoi occhi sono anche i miei. Guardali. Guardati, quando vorrai trovarmi. Sarò sempre lì.
E’ notte. Ti tengo sull’avambraccio a pancia in giù, perché lei dice che così ti esce l’aria dalla pancia e torni a dormire.
E non penso, adesso non penso più.
Canto.
Perché adesso tutto quello che voglio è che tu possa sentirti il bambino più sicuro e amato del mondo. Canto, perché tanto lei è di là e non sente.
Non voglio capisca che le conosco anche io, le ninne nanne.
Pensa siano una sua prerogativa, e a noi va bene così, perché vogliamo che la nostra mamma sia felice, vero?
Stella, stellina, la notte si avvicina…