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A TIRARSELA TROPPO CI SI SGAMBETTA DA SOLE
“Io sono la tua fan numero 1! Conosco tutte le tue canzoni a memoria, sono cresciuta ascoltandoti e questa sera si avvera un mio sogno! Io che salirò sul palco per presentare te! Ho anche letto il tuo libro, anzi guarda se puoi mettermi una firma qui (e gli porgo il libro), e una anche qui (e gli porgo il cd) e una anche qui (e gli porgo la locandina della rassegna con il suo nome tra gli artisti in programma ed il mio come presentatrice ufficiale)! Quanto sono felice! Le canterò tutte una ad una questa sera! Sono la tua fan numero uno, io!”
E’ il 14 settembre 2011. Sono seduta ad un tavolo con gli organizzatori di Human Rights, rassegna creata per festeggiare i 50 anni di Amnesty International; a tavola con noi, il protagonista della serata, Eugenio Finardi, con i suoi musicisti.
Sfortunatamente per lui, durante la cena siamo seduti uno di fronte all’altra. E io non smetto un secondo di bullarmi raccontandogli quanto sia la sua fan numero uno. La migliore. La più devota e fedele. E soprattutto, la più preparata su di lui.
A ripensarci ora, proprio non so cosa mi sia preso. Sarà stata la troppa gioia, o l’emozione, o l’entusiasmo sincero per quell’evento che segnava – per me – una tappa importante della mia “carriera” da presentatrice. Sta di fatto che ancora mi domando quale pazienza serafica abbia frenato Finardi quella sera dal chiamare la polizia ed emettere un ordine restrittivo nei miei confronti. Con decorrenza immediata.
Per fortuna mi trovavo di fronte ad un signore, oltre che ad un grande artista, e la cena è filata dritta fino al momento d’inizio concerto.
Salgo sul palco, in mano una candela bianca per celebrare l’importanza di un’organizzazione come Amnesty. Qualche parola con la responsabile locale, qualche cenno sulla storia dell’attività di difesa dei diritti umani che vede Amnesty impegnata in prima linea. E poi – questa volta con professionalità – presento l’artista e mi rifugio tra il pubblico per godermi il concerto.
Fino a quando tutto cambia.
Perché ad un certo punto Finardi si siede ad uno sgabello, e muovendo le braccia nell’aria come se stesse componendo su di un pentagramma invisibile delle note nuove, comincia a cantare una canzone. LA canzone.
Lui canta, e io scoppio a piangere.
Lui canta, e io non riesco a crederci. Perché quelle parole descrivono esattamente quello che sono, quello che avrei voluto un uomo vedesse in me, il modo in cui avrei voluto essere amata davvero.
Chiedo ad una signora seduta vicino a me, e scopro che la canzone si intitola UN UOMO.
Torno a casa dopo l’evento, e mi infilo sotto le coperte. Di fianco al ragazzo con cui stavo da sei anni, e che da un anno viveva con me. E con il quale non ero più felice da molti mesi, perché proprio andando a convivere ci eravamo trovati di fronti alle nostre incompatibilità, solo che lui preferiva fare finta di niente, mentre io non riuscivo più ad andare avanti.
Quella canzone mi aveva spezzata, perché mi aveva messa di fronte a tutto quello che volevo avere, e che non avevo – e avrei mai avuto – nel letto di fianco a me.
Quello che accadde dopo, rappresenta la meritata lezione per una che se la tira troppo, come avevo fatto io.
Perché ho scritto una mail a Finardi per ringraziarlo, spiegandogli l’impatto che la canzone aveva avuto sulla sua millantata fan n.1, e dopo tre ore lui mi risponde, chiedendomi come facessi a non conoscere una delle sue canzoni più famose, ed inviandomela in allegato.
Touchée.
Morale della favola: essere sicure di sé va bene, anzi, è un’ancora fondamentale per affrontare ogni giornata ed ogni battaglia, ma essere TROPPO sicure di sé fa diventare arroganti e superbe, e aumenta notevolmente il rischio di scivolare sull’ombra del proprio ego.
Credi in quello che vali, ma lascia sempre agli altri la possibilità – e il gusto – di dirtelo.
Credi in quello che fai, ma lascia sempre agli altri, per primi, l’opportunità di darti una pacca sulla spalla per dirti che sei stata brava.
Ricordati sempre che – contesse o contadine, principesse o scribacchine, blogger supergnocche o semplici appassionate di parole come sono io – tutte facciamo la cacca e ci mettiamo le dita nel naso e ci chiudiamo “tu sola dentro una stanza, e tutto il mondo fuori”.
Siamo tutte umane, e siamo tutte a nostro modo speciali.
Ma se ti metti da sola sul primo posto del podio, e ti spingi troppo in alto, diventi piccola per le persone che stanno sotto. E dimenticarti è fin troppo facile. Ricorda sempre che si abbattono – e si sostituiscono – le statue. Ma non i piedistalli.
Quindi vivi sempre al massimo di quello che sei, cammina sempre a testa alta, sorridendo e sentendoti una persona speciale. Ma lascia che siano gli altri a dirtelo. Non tirartela mai troppo, sennò rischi di spezzarti come un elastico e prendertene in faccia la metà più dolorosa.
E ascolta la canzone UN UOMO, quando puoi.
A me ha cambiato la vita, 4 anni fa.
E da allora la ascolto spessissimo, quasi come un mantra, per ricordarmi quello che voglio da una relazione.
E per ricordarmi anche quello che sono.