Regola#351nonfartimaledasola

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REGOLA#351 NON FARTI MALE DA SOLA
Pensieri sparsi di un mercoledì sera sotto la doccia.

L’acqua mi scivola sul viso, calda ma copiosa.

La sensazione di soffocare è quasi immediata, dopotutto la fobia di avere la testa sott’acqua non sono mai riuscita a vincerla, e tenermi il getto della doccia puntato sulla faccia, questa sera, è un atto di violenza che mi sto infliggendo da sola, con rabbia e ostinazione.

Le lacrime si mescolano all’acqua.
Mi si sta tappando il naso, tuttavia non riesco a smettere.
Mi manca il respiro e sento che potrei avere un attacco di panico da un momento all’altro, ma continuo a tenere il getto dell’acqua puntato sulla faccia, come se volessi punirmi da sola.
Forse è proprio questo il punto: mi sto facendo del male da sola, e nel momento in cui lo realizzo, mi  appoggio con la mano destra alla maniglia, e chiudo il flusso dell’acqua.
Esco dalla doccia, mi avvolgo in un asciugamano e scivolo per terra, la schiena poggiata sullo scaldasalviette, le braccia sulle ginocchia piegate, la testa buttata indietro.

Questa doccia rappresenta la metafora calzante e cristallina di come ho condotto la mia vita negli ultimi anni: quando vado in crisi perché non sto vivendo come vorrei, invece di rimboccarmi le maniche e dare la necessaria sterzata all’andamento delle cose, me la prendo con l’unica persona che dovrei amare ancora di più: me.

Mi faccio del male da sola, proprio come sotto la doccia quando mi costringo con la testa sotto l’acqua.

Mi rendo conto di aver rinunciato ai miei sogni, e invece di lottare per recuperare il tempo perduto, persisto nell’affossarli. Mi circondo di situazioni soffocanti e sbagliate, e invece di far brillare la mia criniera di leonessa, divento un micetto frustrato. Mi descrivo come una donna con le palle, e invece sono io a fungere da pallina antistress a chi capita e quando gli fa comodo.

Non ascolto i segnali di insofferenza che manda il mio corpo, e invece di prendermi una pausa da tutto e tutti, persevero e continuo ad avvelenarmi.

Un circolo vizioso purulento e nocivo che, fino ad oggi, mi ha tenuta incastrata in una gabbia per criceti, e io a girare continuamente nella ruota fino a sfinirmi e ad indirizzare le mie energie per dare la colpa a qualcosa fuori di me: il destino, la vita,  la sfiga, le persone sbagliate, le scelte avventate.
Quando l’unica colpevole sono io.
Perché non si possono cambiare né le circostanze e tantomeno le persone, ma possiamo cambiare il nostro modo di vivere le circostanze e le persone, iniziando prima di tutto a fregarcene.

Imparando a seguire il nostro istinto, e a vivere sentendoci liberi.
Imparando che non possiamo modificare gli accadimenti, ma gestirli, quello sì.
Imparando a non mettere sempre in discussione noi stessi prima di tutto e imparando che a volte le scuse dovremmo pretenderle invece che chiederle e imparando che non sempre cedere è la soluzione migliore.

Accudendo e accrescendo il nostro amor proprio come faremmo con una storia d’amore cui teniamo.

Realizzo tutto questo con la schiena ancora appoggiata al muro, i capelli che hanno sgocciolato dovunque intorno a me, il respiro ancora un po’ pesante dopo lo spavento di sentirmi soffocare dall’acqua.
Mi alzo lentamente, carico la lavatrice, la faccio partire– devo ricordarmi di stendere prima di prendere sonno.
Sistemo il tavolo in cucina dove ho lasciato i resti della cena.
Preparo la borsa per il giorno dopo, pensando a come vestirmi.

I soliti gesti di sempre.

Asciugo un po’ i capelli, ma lo faccio troppo tardi, e lo sbalzo di temperatura fra il bagno caldo e il resto della casa mi ha già fatto salire la febbre.
Ho le guance in fiamme, gli occhi lucidi, il corpo che si riempie di brividi.

Mi butto sotto le coperte, tentando di trasformare in parole tutto quello che ho capito questa sera, perché voglio che questo momento di lucidità resti impresso indelebilmente da qualche parte.
So già che potrei dimenticarmene, e che un giorno avrò bisogno di rileggere tutto questo, rivivere questo momento e aggiustare la rotta.
Aggiustarmi, la prossima volta che sarò rotta.

Scrivo di getto, e mentre lo faccio diventa sempre più chiaro quello che voglio diventare.
Intanto la lavatrice ha finito; ora stendo i panni, bevo un po’ d’acqua e provo a dormire.
Da domani si ricomincia daccapo, con me stessa, con le persone che amo  e con tutto quello che mi circonda.
E smettendola di correre dentro ad una ruota per farla girare, che tanto le cose si capiscono meglio solo quando le guardiamo da fermi.
E quello è proprio il momento in cui possiamo soffiarci sopra e allontanare da noi tutto quello che ci fa del male.

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